Nel 1965 alcuni speleologi della Commissione Grotte della Alpina delle Giulie, scoprivano alle falde meridionali del Monte Ermada una cavità che era quasi completamente obliterata da materiali di crollo.
GROTTA DEL MITREO 1255RE / 4204 VG
Nel 1965 alcuni speleologi della Commissione Grotte della Alpina delle Giulie, scoprivano alle falde meridionali del Monte Ermada una cavità che era quasi completamente obliterata da materiali di crollo. Nei primi lavori di disostruzione apparvero frammenti architettonici, tra cui parte di una stele iscritta, dalla quale si desunse che la cavità era stata usata come tempio ipogeo dedicata al Dio Mitra. I lavori di scavo successivamente intrapresi dalla Soprintendenza Archeologica di Trieste misero in luce una cavernetta, la quale era stata adattata in epoca romana, mediante l’asporto del materiale del cono detritico dell’ingresso per uno spessore di circa tre metri che era stato sparpagliato per livellare il pavimento, sicché insieme ai materiali romani vi erano pure manufatti preistorici.
Dopo aver messo in luce alcune strutture proprie del Mitreo, un ricco complesso di monete che andava dal II al IV secolo, lucerne e vasetti di ceramica nord-italica, frammenti di anfore, di tegole e tavelle, fu investigato il sottostante deposito archeologico, dello spessore di circa due metri. In esso erano presenti livelli contenenti materiali che andavano dall’età del ferro, con resti della cultura dei castellieri, a manufatti tipo Lubiana e Vucedol e ceramica a Besenstrich, il neolitico era contraddistinto dai vasi a fondo cavo, decorati con incisioni; si è trovato pure qualche frammento di ceramica impressa e due frammenti di vasi a bocca quadrata. Lo scavo condotto nel deposito wurmiana per oltre due metri di profondità, cioè fino ad un antico pavimento stalagmitizzato, non ha dato alcun risultato.
(Testo tratto da: “Atti della Società per la Preistoria e Protostoria” della Regione Friuli Venezia Giulia vol. III, di Dante Cannarella, Arti Grafiche Pacini Mariotti – Pisa 1979, pagg.101-102).
Grotta del Mitreo 1255RE / 4204VG – Rilievo
LA GROTTA DEL DIO MITRA Grotta del Mitreo, Caverna del dio Mithra, Tempietto del dio Mithra.
Sempre nella stessa zona, dobbiamo rammentare un’altra importante scoperta fatta nel 1965 da speleologi della Società Alpina delle Giulie, i quali trovarono una piccola cavità, quasi del tutto obliterata dai detriti, che era stata trasformata in tempio dedicato al culto del dio frigio Mitra.
La grotta, che porta il n° 4204 del catasto Venezia Giulia, si apre ad una cinquantina di metri sopra l’autostrada, 500 metri prima di arrivare alla Chiesa di San Giovanni del Timavo. Poiché l’autostrada è cintata, oggi per raggiungere la grotta bisogna fare un lungo giro. Si segue la Statale 14 in direzione di Monfalcone, e 200 metri dopo aver superato il bivio che porta a Duino, sulla destra si entra, ad angolo retto, in una strada sassosa che conduce alle ville della zona. La si segue per una ventina di metri, poi si piega a sinistra. La strada, piuttosto dissestata, passa davanti ad alcune ville, s’infila sotto l’autostrada, comincia ad inerpicarsi sul pendio del Monte Ermada, passa davanti al casello ferroviario e quindi costeggia la linea ferroviaria per circa 300 metri; poi, piegando bruscamente, passa sotto la linea ferroviaria. A questa curva si abbandona la strada e si scende lungo un sentierino ben tracciato, che dopo una trentina di metri porta alla grotta.
Al momento della scoperta, la cavità era grande poco più di una tana di animali. Gli speleologi cominciarono a svuotarla dal sassi e dal terriccio, e si imbatterono in alcuni frammenti di lapidi con iscrizioni dedicatorie, dalle quali fu possibile capire che la grotta era stata usata come tempio del Dio Mitra. Le successive campagne di scavi, intraprese dalla Soprintendenza, misero in luce una cavità di circa un centinaio di metri quadrati di base. Sul lato sinistro, dove la volta era più alta, c’erano due banconi in muratura, alti 60 cm e larghi altrettanto, che si sviluppavano per circa 2,50 m di lunghezza: erano paralleli tra loro e distanti 3 metri. Sulla parete di fondo, praticamente al centro dei banconi, sono visibili due fori e tracce dello scalpellamento della roccia, fatto per levigarla. Qui evidentemente era attaccata la stele dedicatoria, con il bassorilievo rappresentante il Dio Mitra che compie il sacrificio del toro, incorniciato da un arco sostenuto da due colonne; sopra l’arco è posta una trabeazione con l’iscrizione votiva di un certo Paunianus che fa voti per la salute propria e dei familiari.
Dai frammenti reperiti si son potute ricostruire due stele, fatte in epoche successive. Sono stati trovati anche alcuni cippi, di cui due con iscrizioni. Lo scavo del livello romano ha restituito oltre 400 monete e frammenti di centinaio di lucerne e vasetti votivi, oltre a molta altra ceramica più comune. Negli strati sottostanti c’erano invece manufatti preistorici, che andavano dall’età del ferro al neolitico. Il deposito è stato scavato e studiato anche da ricercatori della nostra Università.
Il culto del Dio Mitra fu introdotto nell’Impero romano dai legionari provenienti dall’Asia Minore, di dove il culto era originario. A questo proposito bisogna ricordare che XV legione Apollinare, nella quale militavano le genti giuliane, prestava servizio in quella zona.
Visto il grande interesse che la grotta rivestiva, la locale Sezione Antichità della Soprintendenza nel 1974 provvedeva ad eseguire importanti lavori di sistemazione del Mitreo, grazie anche all’opera disinteressata di alcuni studiosi locali. Si provvide ad un ulteriore sbancamento del deposito per dare maggior ampiezza alla cavità, si restaurarono i banconi, e si costruì una scala di accesso in muratura. Infine, sono stati fatti i calchi delle due stele, dopo il restauro e l’integrazione delle parti mancanti, nonché dei capitelli.
Recentemente i calchi sono stati posti nella cavità che è stata così resa visitabile con la ricostruzione del tempietto ipogeo.
(Testo tratto da: “Guida del Carso triestino” – Preistoria – Storia – Natura, di Dante Cannarella, Edizioni Italo Svevo – Trieste 1975 – pagg. 166/168).
CTR 1:5000 – 110062 SAN GIOVANNI AL TIMAVO – S. P. Sistiana – Monfalcone; Raccordo Autostradale Trieste – Lisert A4.
IL MITREONon lontano dalle risorgive del Timavo, sulle pendici dell’Ermada, si apre nelle viscere del monte una grotta (VG 4204), che fu utilizzata in età imperiale romana per il culto di un dio misterioso e salvifico: Mitra (vedi riquadro sul culto di Mitra). Il facile accesso alla cavità e la vicinanza alle polle d’acqua avevano indotto gli uomini a frequentarla fin dall’età preistorica, nel neolitico e successivamente, nell’età del bronzo e del ferro, dalle genti della “civiltà dei castellieri”, come si può desumere dai reperti rinvenuti al suo interno dagli scavi archeologici. Ma è con lo sviluppo di un vivace centro portuale nella zona del lacus Timavi, e con la presenza di mercanti, soldati e funzionari romani, che la cavità naturale si prestò ad essere la sede più adatta per ospitare le cerimonie degli adepti di Mitra, che si svolgevano, infatti, in sale ipogee, solitamente artificiali.
Un gran numero di monete e lucerne, deposte nella grotta come offerte rituali, offrono precisi elementi di datazione e consentono di stabilire che l’insediamento avvenne nella seconda metà del I secolo d.C. e che la frequentazione fu intensa nei secoli III e IV. Il Mitreo del Timavo sarebbe pertanto uno dei più antichi in occidente, anteriore anche a quello di Aquileia, risalente al II secolo, e sarebbe anche l’unico. Tra quelli scoperti, ubicato in una grotta naturale. Alla fine del IV secolo, con la promozione del cristianesimo a religione di stato, tutti i culti pagani furono banditi e si verificarono ovunque episodi di danneggiamento o distruzione dei luoghi ove si veneravano tali dei.
A queast’epoca risalgono anche la devastazione e l’abbandono del Mitreo; i reperti più tardi non si spingono, infatti, oltre la prima metà del V secolo. Le stele e gli oggetti rituali furono infranti, gli adepti dispersi o convertiti; la grotta venne pian piano ostruita dai detriti e si perse la memoria del luogo e del culto che aveva ospitato. La riscoperta è assai recente; dopo una segnalazione, nel 1966, dalla Commissione Grotte “E. Boegan” della Società Alpina delle Giulie di Trieste, sono intervenuti, negli anni Settanta, lavori di prospezione archeologica da parte di vari Istituti e di sistemazione del sito a cura della Soprintendenza.
L’aspetto attuale, seppur discutibile, dal punto di vista archeologico, vuole suggerire ai visitatori l’immagine del sito così come configurarsi nell’antichità. Due banconi paralleli in muratura destinati ai fedeli, che vi potevano sedere o vi si sdraiavano per partecipare all’agape, il banchetto rituale. In mezzo ad essi, al centro della cavità, è stato collocato un blocco dio calcare squadrato, che era forse un’ara per i sacrifici; lo contornano altre sei arette dedicatorie. Sulla parete di fondo è posto il calco ricostruttivo di un rilievo di cui si sono ritrovati i frammenti: Esso rappresenta il dio – vestito come d’abitudine con una corta tunica, il mantello svolazzante e un berretto frigio in capo – mentre immola il toro. Al di sopra del dio, compariva il corvo e sotto il toro lo scorpione.
La scena è inquadrata entro un arco che, assieme a due pilastri sostiene una trabeazione che reca la dedica:
D (eo) I (nvicto) M (ithrae) AV (lus) TULLIVS PAVMNIANVS PRO SAL (ute) ET FRATER SVOR (um) TVLLI SECUNDI ET TVLLI SEVERINI
“All’invitto dio Mitra Tullio Paumniano offre per la salvezza sua e dei suoi fratelli Tullio Secondo e Tullio Severino”.
Nei pennacchi comparivano le personificazioni del giorno e della notte, di cui ci è rimasta solo la seconda, raffigurata da un volto femminile sormontato dal crescente lunare. Al di sotto erano rappresentati i due geni Cautes e Cautopates, portatori delle fiaccole vitali,il primo teneva alzata e il secondo rivolta invece verso il basso.
Più sotto ancora, alla base della cornice decorata a scaglie, dovevano esserci due “vignette” relative al mito di cui Mitra era protagonista; ci è rimasta solo quella di sinistra che lo raffigura mentre trasporta il toro, dopo la sua uccisione.
Una seconda stele è stata posta contro la roccia a sinistra. Molto più mutila della prima, ha posto notevoli problemi di ricostruzione dell’immagine raffiguratavi, anche perché si rifaceva ad un’iconografia di Mitra piuttosto inconsueta. In essa il toro è ritto sulle zampe posteriori, forse nell’estremo tentativo di fuggire, mentre Mitra lo colpisce alle spalle con il coltello. A destra il corvo, posato su di un tronco o una roccia, sembra afferrare con il becco la coda del toro. Ai lati della testa di Mitra si leggono poche lettere della dedica, che sembra sia stata sfregiata di proposito.
Nell’angolo di destra, non lontano dall’ingresso si vede un camino che comunica con l’esterno e che si ritiene potesse essere usato per il sacrificio rituale del toro. Non doveva trattarsi tuttavia di un rito compiuto di frequente, forse soltanto in un giorno particolare dell’anno – presumibilmente attorno al solstizio d’inverno – quando bisognava liberare la luce dalle tenebre che cercavano di sopraffarla:. Nelle riunioni ordinarie gli adepti, con il volto coperto dalle maschere che simboleggiavano il loro grado, partecipavano ad un banchetto rituale, come quello effigiato nella stele frammentaria ritrovata, non lontano da qui, nel Mitreo di Elleri.
Il simulacro di Mitra come doveva essere collocato nel fondo della “spaeleum” (Studio G. Pross Gabrielli)
IL CULTO DI MITRA
Il culto di Mitra ha la sua origine nell’oriente indo-iranico ed è legato a quello di Ahura Mazda, dio della luce e del fuoco, principio della vita e del bene nello zoroastrismo. Da questa connessione ha tratto la caratteristica di dio solare con cui sarebbe stato poi conosciuto in occidente. Dall’area di origine infatti, il culto mitraico cominciò a spostarsi verso occidente, diffondendosi nell’impero romano, a partire dal I secolo d.C., per opera soprattutto dei mercanti orientali e dei soldati. Per questo motivo i luoghi di culto sono stati ritrovati quasi esclusivamente in vicinanza delle grandi città portuali e dei posti di guarnigione. Ed è significativo, per quanto riguarda il mitreo che stiamo visitando, che fosse attestata la presenza nelle vicinanze della XIII legione Gemina, che proveniva proprio dall’oriente.
Quello di Mitra era un culto misterico, riservato solamente ad un numero ristretto di fedeli maschi. Era celebrato in ambienti sotterranei, solitamente artificiali, che dovevano rappresentare una grotta, luogo dove Mitra, generato dalla roccia, aveva conquistato la luce e la vittoria. Il segreto che lo circondava è stato però ben mantenuto, per cui tuttora conosciamo soltanto sommariamente alcuni aspetti del culto, mentre il rituale è rimasto del tutto oscuro. Il poco che ci è noto è stato desunto dalle raffigurazioni e dalle iscrizioni dedicatoria pervenuteci e dagli strali polemici di alcuni scrittori cristiani: quello di Mitra, infatti, era un culto che venne affermandosi in occidente contemporaneamente al cristianesimo ed in concorrenza con questo. Si presentava anch’esso come un culto soterico, legato alla vittoria della luce sulle tenebre, simbolismo con cui era raffigurato anche Cristo. Il momento culminante – rappresentato in genere sulle stele all’interno dei mitrei – era costituito dall’immolazione di un toro, simbolo delle tenebre e della materia.
Nelle imprese del dio un ruolo importante era svolto da alcuni animali e personaggi, che andarono a simboleggiare poi, nel culto, i sette gradi degli iniziati. Essi erano il corvo (corax), un essere misterioso (gryphus), il soldato (miles), il leone (leo), il persiano (perses), il messaggero del sole (heliodromos) e infine il pater.
(I due testi sono stati tratti da: “Le strade di Aquileia” – Nuovi itinerari tra Friuli e Golfo Adriatico di Donata Degrassi, Libreria Editrice Goriziana Gorizia 2000, pagg.147/149).
Schizzo ricostruttivo prospettico interno tempietto ipogeo al Timavo (Dott. Arch. Pross Gabrielli)
IL MITREO DI SAN GIOVANNI IN TUBA
Nella grotta 4204 VG situata a circa mezzo chilometro, SSE dalla frazione di San Giovanni in Tuba, alle falde dell’Ermada, venivano scoperti nel 1965 i resti di un tempietto dedicato al dio Mitra.
La Società Alpina delle Giulie, che aveva disostruito la cavità, avvertiva del ritrovamento la locale Soprintendenza che provvedeva al recupero del materiale archeologico di epoca romana. Più tardi veniva effettuato, a cura dell’Università degli Studi, un sondaggio nella parte preistorica del riempimento, sicché si può ora ricostruire con sufficiente esattezza la storia della grotta.
Questa venne usata in epoca preistorica come abitazione, similmente a tante altre caverne del nostro territorio, e nel periodo imperiale romano fu dedicata al culto del dio di origine persiana, ma da tempo accolto dai Romani, insoddisfatti ormai della religione tradizionale ed attenti alle novità che arrivavano dall’Oriente: Ebraismo, Cristianesimo, culto di Iside, culti solari.
A questa ultima categoria apparteneva per l’appunto il Mitraismo introdotto a Roma dagli schiavi orientali, diffuso dapprima tra gli strati più poveri della popolazione, accolto poi con simpatia da funzionari e militari che nel dio solare saggio equanime e valoroso, trovavano un modello da seguire.
Favorito da coloro che speravano di riportare anche nel campo religioso i cittadini dell’impero ad una unità da tempo perduta (divinità solari erano adorate sia nell’Europa continentale che nel bacino mediterraneo e perciò un dio solare unico avrebbe avuto più successo degli oramai troppo dimenticati numi di Roma), adottato da Diocleziano che tentò invano di contrapporlo al Cristianesimo avanzante (quest’ultimo non era certo bene accetto, dal momento che poneva in discussione la divinità dell’Imperatore e predicava la pace e la fratellanza universale), cominciò a decadere quando Costantino dette libertà di culto ai Cristiani e subì un colpo mortale da Teodosio, che elevò il Cristianesimo a religione di Stato, proibendo tutte le altre. Probabilmente a quell’epoca (fine del IV sec. d.C.) il tempietto presso San Giovanni in Tuba fu abbandonato e distrutto.
Gli scavi hanno riportato alla luce oltre duecento monete di bronzo ed una di argento, appartenenti al III e IV secolo d.C., cioè al periodo in cui il Mitraismo aveva conosciuto il suo massimo splendore, alcune centinaia di lucerne di terracotta, intere e frammentate, qualche resto di ceramica grezza (pezzi d’anfora e grossi recipienti) e numerosi frammenti lapidei di notevole importanza, alcuni dei quali con dediche al “dio invitto Mithra”.
San Giovanni di Duino
Grotta del Mitre, ricostruzione della stele di Mitra:
A. Scritta dedicatoria
B. Sole
C. Luna
D. Cautes con la fiaccola abbassata
E. Cautopates con fiaccola alzata
F. Mitra con il berretto frigio
G. Il toro sacrificato
H. La coda del toro terminante in spiga
I. Lo scorpione
J. Il serpente
K. Il corvo
L. La roccia della grotta
M. Offerenti
DESCRIZIONE 1255RE/4204VG tratta dal Catasto Regionale delle Grotte
Nel 1963, nel corso di un esame sistematico della zona situata tra la linea ferroviaria e la Statale 202, venne individuata a poca distanza dalle risorgenze del Timavo una cavità non catastata. Si trattava di una caverna poco estesa ed alquanto irregolare, ingombra di pietrame di grosse dimensioni che in qualche punto giungeva a toccare la volta.
ACCESSO 1255/4204VG:
la grotta si trova in una piccola dolina dalle pareti scoscese, 50m a monte della superstrada, all'altezza del cimitero di Duino e di S.Giovanni al Timavo.
DESCRIZIONE 1255/4204VG:
la grotta fu scoperta nel 1963 da alcuni speleologi della Commissione Grotte; allora la grotta era ingombra di pietrame di grosse dimensioni che in qualche punto giungeva a toccare la volta.
La descrizione che segue risale all'epoca delle prime esplorazioni ed è stata redatta da Mario Galli.
“Il primo ingresso è un ampio portale alto circa 1m e largo oltre 7m, diviso in due da un cumulo di grosse pietre. La seconda apertura è costituita da un foro strettissimo che si apre sull'orlo meridionale della dolina e che immette nella cavità con un pozzetto di 2,5m.
La cavernetta, accessibile in qualche tratto con difficoltà a causa delle sue piccole dimensioni, è probabilmente il residuo di una cavità di proporzioni ben maggiori che ha subito un colossale riempimento di detriti; essa rappresenta la parte superiore di una galleria anticamente percorsa dalle acque, la cui parete ha ceduto in corrispondenza di qualche fratturazione, dando luogo all'attuale imbocco, ampliandosi con il succedersi dei fenomeni di crollo.
Il suolo infatti è costituito da un grande cumulo di terra e pietra che in più punti raggiunge la volta, lievemente digradante verso la parete orientale, dove lascia, sotto volta, una fessura impenetrabile. Poche tozze concrezioni, in parte semisepolte, ornano la parte meridionale della cavità, dove più scomodo è l'accesso in quanto per alcuni metri la cavernetta è alta appena 30-50cm.
La parte più spaziosa della cavità è quella settentrionale.
Proseguendo oltre il cumulo di massi che divide in due l'entrata, si giunge in un vano di dimensioni più ridotte del precedente e che è la sua continuazione. Successivamente, superando un basso passaggio si giunge alla base del pozzetto menzionato.”
In considerazione del fatto che la grotta era ubicata in un'area già nota per la presenza di vestigia romane, e che quindi poteva rappresentare un interessante sito archeologico, venne iniziato lo sgombro del materiale detritico che riempiva quasi completamente la cavità.
Durante i lavori di disostruzione la Commissione Grotte portò alla luce alcuni reperti attribuibili all'epoca romana e quindi i lavori vennero immediatamente sospesi; successivamente vennero ripresi dalla Sezione Scavi e Studi di Preistoria Carsica “R.Battaglia” della Commissione Grotte, limitatamente ad una zona di 5m x 2m situata sotto la parete sinistra (entrando), nella quale si erano trovati i reperti attribuibili all'epoca romana. I signori Stradi, Andreolotti e Gombassi della Commissione Grotte eseguirono alcuni scavi d'assaggio.
Lo scavo venne approfondito nel suolo sottostante il detrito e furono rinvenuti numerosi resti archeologici tardoromani, tra i quali un pilastrino con un'iscrizione incompleta, vari frammenti di bassorilievo, resti di vasellame, numerose lucernette e 98 monete, in parte non classificabili per lo stato di deterioramento, e una pietra cubica di 50cm di lato, che rappresenta con tutta probabilità l'ara sulla quale avevano luogo i sacrifici.
Constatata l'importanza dei ritrovamenti i lavori vennero sospesi e ne fu data relazione alla locale Soprintendenza ai Monumenti, Gallerie ed Antichità che riprese gli scavi senza però trovare reperti significativi; si rinvennero ancora alcuni piccoli frammenti della stele votiva ed altre monete, non diverse da quelle già raccolte. Tutto il materiale archeologico fu portato al nel Museo di Aquileia.
Gli oggetti messi in luce hanno permesso di stabilire che la cavità ospitava un tempietto ipogeo dedicato al Dio Mithra, il cui culto si era diffuso nell'Impero tra la metà del III e la fine del IV secolo e le monete raccolte, tranne una più antica, si riferiscono appunto a tale periodo.
Al di sotto dello strato romano si estende un deposito preistorico intaccato con il livellamento del suolo all'epoca dell'adattamento a luogo di culto; i residui del cocciopesto che costituiva la pavimentazione inglobano infatti qualche resto ceramico dell'età dei castellieri.
Con l'avvento del Cristianesimo e la proibizione dei culti pagani il tempio venne abbandonato e forse anche devastato e sulle rovine andarono a depositarsi, in quindici secoli, detriti e terreno organico.
Nel corso della prima guerra mondiale tutte le cavità della zona subirono adattamenti di vario genere, ma fortunatamente la caverna venne a trovarsi, sia pur per pochi metri, al di là della linea difensiva austriaca che correva lungo la vicina ferrovia, sfuggendo in tal modo alla devastazione a cui andarono incontro altre grotte di interesse preistorico, come la Grotta Fioravante (411/939VG) e la Grotta di Visogliano (80/414VG).
Negli anni 1971 e 1972, l'Istituto di Antichità Alto Adriatico effettuò nella parte meridionale della cavità un altro scavo, questa volta nell'intento di acquisire cognizioni sul deposito preistorico, la cui esistenza era stata accertata nel corso delle precedenti indagini. La successione stratigrafica ed i reperti risultarono analoghi a quelli messi in luce in altre grotte del Carso triestino e non furono rinvenuti quei livelli paleolitici che la particolare situazione della cavità aveva fatto ritenere probabili; la trincea ora si esaurisce in uno strato di crostoni stalagmitici ed argilla sterile alla profondità di circa 3m.
Gli scavi praticati nella cavità hanno mutato radicalmente l'aspetto della medesima. Ne è risultato un ambiente più spazioso, ma con il materiale di scarto sono stati ostruiti molti passaggi laterali sotto parete, nei quali era possibile avanzare per un buon tratto in varie direzioni; la volta soprastante l'imbocco, giudicata pericolante, è stata fatta crollare con le mine, ottenendo così anche una maggiore illuminazione dell'antro.
Attorno all'ingresso è stato eretto un recinto munito di un cancello per evitare gli scavi abusivi e le chiavi sono custodite dalla Soprintendenza.
Da “Spelaeus” di Franco Gherlizza ed Enrico Halupca:
“Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Trieste iniziava una consistente e sistematica campagna di ricerche, dapprima per liberare la cavità di tutte le macerie, successivamente per investigare i sottostanti livelli preistorici, ricchi di manufatti che andavano dall'età del ferro sino al neolitico.
Scavi successivi, per lo più volti ad intaccare gli strati sottostanti, dettero alla luce resti appartenenti all'età del ferro, rappresentato da resti della cultura dei castellieri, Lubiana, Vucedol e ceramiche a Besenstrich. Al neolitico invece si associano dei vasi a fondo cavo, decorati con incisioni, pochi frammenti di ceramica impressa e due frammenti di vaso a bocca quadrata.
Un ulteriore scavo, condotto sino all'antico pavimento stalagmitico, ha reso soltanto un radio ed un'ulna di Rhinoceros.
Successivamente la cavità è stata sistemata ricostruendo il tempietto con i calchi delle lapidi, delle arette e dei due banconi laterali. Oggi questo risulta essere l'unico Mitreo in cavità esistente in Italia e quindi costituisce una rarità che andrebbe vieppiù valorizzata.”
L’ENEOLITICO o ETA’ del RAME
GIACIMENTI:
Riparo Zaccaria di Aurisina, la Grotta Caterina, la Cotariova e le Tre Querce, oltre a numerose altre cavità già ricordate per i periodi precedenti.
PERIODO:
Dai 5.000 ai 3.800 anni fa si verifica una recrudescenza climatica, più fresca e umida, chiamata subboreale.
L’AMBIENTE:
La nuova variazione climatica favorisce il ritorno del bosco di latifoglie di tipo centroeuropeo mentre la flora mediterranea trova delle oasi di rifugio lungo il costone carsico. L’animale tipico di questo periodo è il cervo, seguito dal capriolo e dal cinghiale. Tra i predatori c’è il gatto silvestre, la lince, il tasso e la volpe. E’ probabile che talune zone restino scoperte a landa cespugliata o con arbusti. Con le maggiori precipitazioni si riformano gli stagni.
LA VITA:
Continuano a essere frequentate le grotte e i ripari sotto roccia. La scarsità dei manufatti dimostra però che si tratta di una frequentazione saltuaria e per periodi brevi da parte di piccoli gruppi di pastori provenienti sempre dai Balcani, appartenenti a culture che hanno le loro sedi in un villaggio presso Zagabria e in una palafitta sorta nella piana di Lubiana. Evidentemente il Carso è un territorio adatto al pascolo di capre e pecore e questo spiega il nomadismo degli uomini che fruiscono delle grotte come di ricoveri temporanei. In un caso (Grotta dei Ciclami) un cunicolo è stato frequentato a scopo culturale per deporvi delle bellissime coppe graffite e incrostate, contenenti delle offerte fatte a una divinità. Tra i resti di pasto, quelli di capra e pecora sono predominanti, ma sono frequenti anche quelli del cervo e del capriolo.
Nel periodo eneolitico si sviluppano nuove culture in cui socialmente sembrano prevalere i guerrieri. Questo si spiega con l’importanza assunta dal commercio per il reperimento dei primi metalli, quali il rame e lo stagno, richiesti dalle grandi culture urbane dell’Oriente.
L’INDUSTRIA:
I manufatti sono sempre su pietra, osso e corno di cervo. Di selce sono le cuspidi di freccia, con codolo e alette, vale a dire la forma di quelle di rame. Possono essere state usate per la caccia ma mostrano altresì l’indole bellicosa di questi nuovi venuti. In questo periodo i pastori possono anche essere mercanti e predoni nello stesso tempo.
SEPOLTURE:
Nel Riparo Zaccaria è stata scoperta una tomba a inumato in posizione rannicchiata e nella Grotta di Santa Croce la sepoltura di un bambino posto in un grande orcio.
circa 11 anni fa
Buongiorno a tutti,
sono attualmente la custode del Mitreo. volevo informarvi che il sito è visitabile ogni giovedì dalle 10 alle 12 oppure su appuntamento per gruppi o scuole.
circa 10 anni fa
Mi farebbe molto piacere visitare la grotta del mitra,molto affascinante e misteriosa, come del resto tutto il sito, compreso S.Giovanni in tuba, che ho avuto modo di visitare con la guida. Mi chiedo, è possibile visitarla anche singolarmente? Grazie saluti!
circa 10 anni fa
Copio e incollo quello che ho trovato da un altro sito, visto che non siamo noi a gestire la grotta in questione:
La grotta del Mitreo si può visitare tutti i giovedì, dalle 9 alle 11. Per visite in altri orari si può contattare la Soprintendenza del Friuli-Venezia Giulia allo 040 4261411 oppure Sattolo Alice 328/9287073
circa 7 anni fa
Buongiorno,
si segnala che gli orari di apertura del Mitreo di Duino sono cambiati e che la dott. Sattole non è più la custode del Mitreo.
I nuovi orari sono:
SABATO 10.00-12.00
Per visite guidate e informazioni contattare:
Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia
Sede di Trieste
Palazzo Economo , Piazza Libertà 7 / Viale Miramare, 9- 34100 Trieste
Tel. 0404261411
0404527511
Si ringrazia cortesemente,
Cordiali saluti