Grotta Nera – 4.11.2006
La Grotta Nera della Particella sperimentale del Bosco Bazzoni, illustrata sul settimanale culturale “Zeno”.
C’era una volta la grotta dei lebbrosi
Preistoria in mostra all’interno della grotta, tra mito, storia e scienza.
Una leggenda locale racconta di una grotta sulla piana di Basovizza, nella quale un tempo venivano rinchiusi, lontani dagli occhi e dagli altri abitanti, i lebbrosi. Da un’apertura sulla parte superiore della cavità venivano calati i viveri per il loro sostentamento. La bizzarra credenza narra, inoltre, che quella grotta venisse chiamata per questo “Grotta dei Lebbrosi”. Oggi è la “Grotta Nera”, definita così in tempi recenti a causa del colore scuro delle pareti, provocato dalla detonazione di ordigni bellici avvenuta al suo interno dopo la seconda guerra mondiale.
Nel corso degli ultimi anni il Gruppo Speleologico San Giusto si è occupato della gestione della grotta e della particella sperimentale del Bosco Bazzoni, territorio sul quale si apre la cavità. Dopo aver attrezzato la particella per le visite guidate alle scuole, il gruppo ha deciso di attrezzare turisticamente anche la grotta, creando uno spazio espositivo del tutto innovativo. L’assoluta particolarità è che si tratta di una vera e propria esposizione museale permanente di scienza e storia, direttamente in grotta.
Sabato 21 ottobre la Grotta Nera è stata inaugurata ufficialmente e in questi giorni partirà il servizio didattico, gestito ancora una volta dal gruppo.
L’idea nasce qualche anno fa da una proposta di Pino Sfregola, nota guida speleologica triestina, e dello scrittore Dante Cannarella che si è occupato della ricerca storica del progetto. Con il sostegno di tutto il gruppo, i due sono riusciti ad avviare un programma vero e proprio per la realizzazione dell’idea, grazie soprattutto al supporto tecnico di Maurizio Anselmi. Quest’ultimo è in effetti l’architetto che ha curato la progettazione dell’allestimento museale della grotta, di cui è anche direttore, e che ha trovato il modo di renderla fruibile al pubblico nel totale rispetto dell’ambiente.
Sono state allestite quattro stazioni preistoriche che riproducono la vita dei nostri antenati in epoche diverse: il Paleolitico Inferiore, il Paleoloitico Medio, il Mesolitico e il Neolitico. Ma se nei musei preistorici siamo abituati a vedere degli oggetti in mostra in asettiche bacheche, qui i gruppi in visita possono invece camminare all’interno della grotta, assaporandone l’ambiente e facendosi trasportare dalla strana atmosfera; si passeggia osservando la messa in scena di momenti di vita, armi, pelli, vesti simili a quelle che dovevano scaldare i nostri antenati, riproduzioni in resina di oggetti e attrezzi utilizzati nei diversi periodi dagli uomini che frequentavano la zona del Carso.
Quello che incuriosisce maggiormente di un “museo” come questo è che gli allestimenti sono stati introdotti, senza interferire con il sistema naturale, in un ambiente dall’equilibrio fragile, dove vivono e transitano gli animali. Il dott. Anselmi ci spiega che “tutte le fondazioni degli allestimenti possono essere eliminate in qualsiasi momento e la grotta può essere completamente ripristinata”. Inoltre sono stati previsti degli accorgimenti che, oltre a permettere una visita sicura soprattutto per i bambini, consentono di vivere appieno l’esperienza: “il concetto – continua l’architetto – era quello di realizzare un allestimento che rendesse percettibile una distanza culturale e temporale con ciò che si osserva, pur essendo immersi nell’ambiente”.
Anselmi ha saputo dunque coniugare le esigenze didattiche con la fondamentale necessità di preservare l’ambiente naturale. Perciò ci racconta che è stata predisposta un’illuminazione progressiva: “i quattro siti sono illuminati singolarmente per permettere alla guida di concentrare l’attenzione sulla parte che desidera spiegare; al tempo stesso sono state predisposte delle lampade biocide, che vengono accese di notte e che servono ad evitare la formazione di muschi e licheni causata delle luci utilizzate durante la visita”. Inoltre è stata costruita una passerella perché il pubblico possa camminare nella grotta senza rovinarla. Anche questa struttura è progettata in modo da non essere invasiva; è infatti sospesa e puntellata su cinque punti che poggiano nel sedimento della grotta, non intaccandone la roccia.
Altra curiosità è il cancello all’ingresso le cui sbarre “sono state poste a una certa distanza una dall’altra per consentire il passaggio di animali che frequentano l’ambiente”; ma non basta, perché l’architetto non si è dimenticato di nessuno degli abitanti della zona: il cancello è sollevato leggermen-te dal terreno per far passare anche tutti quei piccoli animaletti che si muovono raso terra o che strisciano. Anche il cancello è removibile, poiché sia per questo che per tutte le strutture che prevedevano l’uso di cemento, le gettate non sono mai state colate direttamente sul manto roccioso, ma su fogli di nylon appoggiati alla roccia.
Infine, ci racconta Furio Premiani, presidente del gruppo, che lo scopo del progetto è quello di diffondere la cultura storico-scientifica: “l’aspirazione è sempre stata quella didattica, cioè far conoscere specialmente ai giovani i modi in cui l’uomo ha trovato sviluppo nel corso della storia in queste zone”.
Attualmente la grotta è aperta solo per i gruppi e su prenotazione, ma – piccola anticipazione per gli amanti delle pedule e dei musei – la promessa è che a breve la grotta rimarrà aperta una domenica al mese per visite guidate rivolte ai curiosi di ogni età.
Sara Stulle
Da “Zeno – il settimanale da Trieste” – Anno 2, N. 65. dal 4 al 10 novembre 2006