Nelle foto di Umberto Tognolli due spettacolari immagini dei vasti ambienti nella Grotta Impossibile di Gattinara. La caverna terminale del ramo principale è una delle più grandi del Carso triestino.
Il racconto della nuova spedizione: sensazioni, suggestioni, il brivido di un viaggio nelle gallerie scoperte durante gli scavi della Cattinara-Padriciano
“Ho esplorato i labirinti della Grotta Impossibile”
La calamità continua a regalare sorprese: profondità massima 200 metri, un chilometro e mezzo di sviluppo
Le esplorazioni della Grotta Impossibile di Cattinara continuano. La grande cavità – una delle maggiori del Carso triestino, con vasti ambienti ed enormi concrezioni – scoperta nei mesi scorsi durante gli scavi delle gallerie della superstrada, ha ormai raggiunto la profondità di -200 metri e uno sviluppo superiore al chilometro e mezzo. Le ricerche, con la supervisione di Franco Cucchi del Dipartimento di Geologia dell'Università di Trieste, sono continuate anche sabato scorso con l'esplorazione di nuovi rami del complesso ipogeo. Tuttavia non è stato ancora raggiunto uno degli obiettivi principali della campagna esplorativa, la scoperta di un'uscita verso l'alto, un collegamento diretto con l'esterno che possa costituire un'entrata alternativa a quella posizionata nella galleria artificiale, all'interno del cantiere della ditta Collini.
Dalla prima
Fra poco raggiungerò la galleria scavata dall'acqua di un antico fiume, una specie di ballatoio affacciato sul nulla, e visiterò uno dei nuovi tratti scoperti nella grotta, individuata nei mesi scorsi durante gli scavi delle gallerie della superstrada.
Un'ora fa ero da un'altra parte di questo immenso labirinto sotterraneo, al seguito della prima squadra di speleologi impegnata in un complicato saliscendi di pozzi, traversate, meandri, strettoie forzando passaggi per arrivare là dove nessun essere umano ha mai messo piede prima. Alla fine della giornata la mappa di questa regione nascosta alla luce sarà aggiornata con numeri incoraggianti: profondità massima -200 metri, sviluppo totale oltre un chilometro e mezzo.
Terre incognite. La nuova spedizione esplorativa -più o meno la quinta da quando è stata scoperta la cavità – inizia di buon mattino.
Il campo base, se così si può definire, è il cantiere della ditta Collini, dove gli addetti sono sempre molto gentili e collaborativi, anche se nei loro sguardi si intuisce una certa compassione per gente che si infila volontariamente sottoterra a caccia di gallerie. Dal punto di vista dei tecnici e degli operai – che le gallerie le scavano – è comprensibile. Come le volte precedenti il gruppo è diviso in squadre. Ci sono i migliori esploratori di buona parte dei gruppi speleologici triestini:
Commissione Grotte “Eugenio Boegan” dell'Alpina delle Giulie, Club Alpinistico triestino, Gruppo speleologico San Giusto, Gruppo Grotte Carlo Debeljak. Ci sono esperti fotografi e ricercatori del Museo di Storia naturale, topografi, biologi e geologi del Dipartimento di geologia dell'Università di Trieste. Una compagine d'altri tempi, che ricorda l'epoca in cui si esploravano le terre incognite. Del resto è la stessa cosa:
la speleologia è ormai rimasta una delle pochissime attività umane dove si effettua esplorazione pura. E canyon, valli, fiumi e cascate si trovano anche sottoterra. Non c'è il sole, ma pa zienza. E tanto per dare un altro tocco vintage all'insieme, chi scrive queste righe può anche contare su una guida personale brava, simpatica e preparata (vedi cornice a fianco).
Allo stato delle cose la Grotta Impossibile si può grossomodo riassumere così: vi si accede dalla galleria (artificiale) di destra attraverso un pozzo, poi si segue un meandro che diventa via via più ampio fino a sbucare in una gigantesca caverna, per dimensioni seconda forse solo alla Grotta Gigante, dove campeggiano concrezioni. straordinarie per bellezza e imponènza, come la stalagmite di ventidue metri che si erge simile a una torre di guardia al centro del vasto ambiente. Ai lati, sopra e sotto l'intero percorso si aprono tutta una serie di pertugi, finestre, pozzi dove si possono immaginare nuove prosecuzioni e collegamenti. Forse ci vorranno anni per dare un'occhiata ovunque. Per esplorare la Grotta Skilan, attualmente il più vasto complesso sotterraneo del Carso, ce ne sono voluti dieci.
La galleria che conduce alle caverne. E' il paleoalveo di un antico fiume. (Foto U. Tognolli)
Come un presepe di notte. Il ramo della Grotta Impossibile più prodigo di soddisfazioni – fino ad ora – inizia all'imbocco della caverna, in alto a sinistra. Si raggiunge con una facile arrampicata, fino ad arrivare a un vero e proprio balcone dal quale si gode una bella panoramica d'insieme. Sembra un presepe di notte, con le luci degli speleo indaffarati qua e là nella caverna. Da qui parte una galleria impreziosita da millenarie sculture, quindi si sale un pozzo, si entra in un meandro fossile, poi c'è un susseguirsi di pozzi e risalite.
Seguiamo il coordinatore della prima squadra, Louis Torelli, che non vede l'ora di arrivare al punto raggiunto l'ultima volta e continuare l'esplorazione. Il luogo è stato battezzato “Bivio H” in onore dell'omonimo e famigerato incrocio sulla statale 202, per due motivi:
primo perché – a occhio e croce – potrebbe anche trovarsi sulla verticale del “vero” bivio, visto che stiamo camminando a circa ottanta metri di profondità dalle parti dei campi di golf. Secondo perché quel punto ha proprio la forma di una “H”, e da lì si diramano quattro gallerie. Compito della giornata per la squadra di punta sarà scoprire qual è quella giusta.
Intanto, nella marcia d'avvicinamento, superiamo una strettoia significativamente nominata “Tubo di Venturi”. Ci soffia un venticello niente male, sembra di essere in una turbina, e Torelli ricorda che il Tubo di Venturi è quell'apparecchio in grado di misurare la velocità di scorrimento dell'aria, sfruttando i rapporti fra pressione statica e velocità. “L'aria forzata attraverso una strozzatura -ci viene spiegato – subisce un'accelerazione proporzionale alla velocità iniziale dell'aria stessa”. Sia come sia ci infiliamo nella strettoia con l'aria accelerata attenti a non rompere una stalattite a forma di campana buddista, e in breve siamo dall'altra parte.
Terremoti lontani.
Fino a questo momento tutta l'esplorazione della Grotta Impossibile ha seguito un tracciato tendenzialmente in salita. Gli altimetri dicono che ci si muove a una quota di duecento metri sul livello del mare, un'ottantina sotto, il pelo dell'altopiano carsico: è come se si visitasse una casa iniziando dalle soffitte. Questo è il tetto del paleoalveo, qui il fiume grattava la sommità nella sua corsa sotterranea prima di andarsene altrove lasciando un regno di vuoti e di silenzi. Le grotte raccontano tante cose, e questa non è da meno. Percorrerla significa sfogliare il grande libro del tempo: una stalattite fratturata ricorda un terremoto lontano, dai segni di erosione sulle pareti si può sapere dove, come e quando là c'erano un lago o un fiume, i crolli sono testimonianze di potenti rivolgimenti, smottamenti e assestamenti, L'eterno respiro della Terra.
L'ultima galleria. Sono particolarmente ispirato quando raggiungo l'imboccatura di un pozzo da 37 metri definito “bellissimo” per il suo aspetto vertiginoso, e a malincuore lascio la squadra continuare la galoppata verso l'ignoto per tornare nella caverna. Più tardi conoscerò gli sviluppi:
seguendo uno dei percorsi del “Bivio H” gli speleologi si sono trovati in un ambiente vasto, franoso e fangoso. È un ramo più giovane, abbandonato dall'acqua in tempi più recenti geologicamente parlando. Quindi gli speleo hanno raggiunto una caverna a -200 con tanto di quel fango che gli autobloccanti non riuscivano a fare presa sulle corde per la risalita. Qui non hanno trovato altre prosecuzioni, e sono tornati indietro, provando a risalire uno scivolo individuato in precedenza. Salendo sono spuntati sul fondo di una caverna alta trenta metri, sono saliti ancora entrando in una galleria di direzione Nord-Est e l'hanno percorsa per trecento metri. Poi si sono fermati, rimandando tutto alla prossima puntata.
Quando torno nella caverna centrale alcune figure si affannano appese alla parete di destra. Non si sa ancora esattamente quanto sia alta la cavità, perché nemmeno gli strumenti al laser sono riusciti ad arrivare così in alto. Secondo le stime dovrebbero essere ottanta metri dalla base. A circa metà della cupola si apre una balconata che immette in una galleria. Per raggiungerla gli speleologi hanno dovuto effettuare una traversata mozzafiato di settanta metri lungo la parete piazzando chiodi a pressione e corde. Quindi, una volta arrivati sulla balconata, hanno calato nel vuoto una corda per permettere agli altri esploratori di raggiungerli con più agio. Andiamo su a visitare questo nuovo ambiente, con belle concrezioni e una moltitudine di bianchi fiori di roccia. In discesa, filando giù nel buio, avrò ancora il tempo per elogiare il comportamento delle corde di nylon a doppia anima da dieci millimetri e immaginare le prossime sorprese della Grotta Impossibile.
Pietro Spirito
Visitare il mondo sotterraneo Ecco dove, come e con chi
Si chiama Clarissa Brun, ha 33 anni, è tecnica-ricercatrice all'Area di ricerca, pratica la speleologia da dodici anni con il Gruppo grotte San Giusto e passerà alla storia per essere stata la prima guida speleologica italiana chiamata a un incarico ufficiale. Siccome la visita della Grotta Impossibile richiede, soprattutto nei rami nuovi, un certo impegno tecnico, è stato necessario affiancare al cronista una guida professionale, figura prevista dalla legge regionale 2 del 2002. La legge ha infatti istituito il Collegio delle guide speleologiche – maestri di speleologia (presidente Franco Gher-lizza), un vero e proprio albo professionale in grado di aprire la strada non solo a nuove forme di turismo ed escursionismo, e di didattica nelle scuole di ogni ordine e grado. E Clarissa Brun è una delle prime guide regionali patentate e preparate ali assistenza tecnica esattamente come avviene per le guide alpine in montagna.
Un tratto del meandro (Foto U. Tognolli)
Ma, come per l'alpinismo, la speleologia si può ovviamente praticare liberamente e a qualsiasi livello. Ecco l'elenco dei gruppi aderenti alla Federazione speleologica triestina, dove – in ciascun gruppo – si organizza in piena autonomia la didattica, si possono frequentare corsi e si può svolgere ogni altra attività legata all'esplorazione del mondo sotterraneo: Commissione Grotte “Eugenio Boegan” Società Alpina delle Giulie – Cai (Via di Denota, 2), Gruppo Grotte Associazione XXX Ottobre – Cai (Via Cesare Battisti, 22), Gruppo Triestino Speleologi (via Sette Fontane, 44/a), Gruppo Grotte della Società Alpina Slovena di Trieste (e/o Stojan Sancin, Puglie di Domio, 187, San Dorligo della Valle), Gruppo Grotte “Carlo Debeljak” (e/o Scuola Manzoni – Via Foscolo, 13), Gruppo Speleologico San Giusto (Via Udine, 34), Società Adriatica di Speleologia (via Mazzini, 24), Gruppo Speleologico “Grmada” (Malchina, 38, Duino Aurisina), Club Alpinistico Triestino Gruppo Grotte (via Raffaele Abro, 5/A), Gruppo Speleologico Flondar (Villaggio del Pescatore, 102).
I biologi del Museo di Storia naturale hanno trovato resti che confermano un antico collegamento con l'esternoE sul fondo un cimitero di pipistrelli
La ricerca di un'entrata alternativa a quella delle gallerie artificiali è una delle priorità nel novero delle esplorazioni della Grotta Impossibile. Anche perché è certo che in tempi nemmeno troppo lontani un collegamento con l'esterno c'era. Lo hanno scoperto i biologi del Museo di Storia naturale, che hanno trovato un piccolo cimitero di 'pipistrelli. Una decina di scheletri -sono stati individuati in vari punti, ma soprattutto ,sul fondo della caverna principale. “Si tratta davvero di “pipistrelli impossibili” – scherza il direttore del Museo di Storia naturale Sergio Dolce – perché attualmente non ci sono comunicazioni con l'esterno”.
“Sicuramente – continua Dolce – c'erano in passato, ma non sappiamo quando: bisognerebbe riuscire ad ottenere una datazione precisa;degli ossicini ma per il momento lo studio della dentatura ci dice che appartiene al genere Rhinolophus, della famiglia Rinolofidi, pipistrelli noti con il nome di “ferro di cavallo” in relazione alla forma della loro escrescenza nasale”.
“Attualmente – dice ancora il direttore del museo – le specie più diffuse nelle grotte del Carso triestino sono il rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) ed il rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros) che le usano come rifugio soprattutto durante il letargo invernale”.
Andrea Colla mentre effettua alcuni prelievi.
Sabato scorso il preparatore del Museo, Andrea Colla, che è anche un esperto entomologo, ha recuperato i resti di ben dieci scheletri di pipistrelli,.sia nella grande caverna che nella galleria superiore, che adesso dovranno essere esaminati. “Quello che è strano – dice Andrea Colla – è la mancanza di tracce di guano nel punto dove è stata rinvenuta la maggiore concentrazione di scheletri; significa che non poteva essere una colonia, ma si trattava di individui forse capitati per caso nella caverna attraverso una comunicazione verso l'esterno che poi si è interrotta”. Dunque anche sotto il profilo biologico la Grotta Impossibile non risparmia misteri. Nel corso delle precedenti esplorazioni i biologi del Museo di Storia naturale avevano trovato anche un esemplare giovane di Niphargus, crostaceo anfipode cieco e quindi strettamente cavernicolo, e un esemplare di collembolo (insetti che vivono sul pelo dell'acqua).
Sia nel corso delle esplorazioni precedenti che sabato scorso sono state posizionate nuove esche per cercare di catturare altri minuscoli esemplari della fauna che abita la grotta.
La mandibola di uno dei pipistrelli rinvenuti.
Da “Il Piccolo” – 7 febbraio 2005